mercoledì 27 febbraio 2008

Quanto rende il pizzo

Lo sapete quanto rende il pizzo? Tanto, è la risposta spontanea..Ma quanto, più di preciso?
Una importante ricerca sociologica guidata dal prof A. La Spina dell'Università di Palermo e promossa dalla Fondazione "Rocco Chinnici", ha fornito interessanti cifre al riguardo e ci offre l'opportunità di accostarci con un approccio più "scientifico" a tale problema.
Riporto qui, un sunto dell'articolo che è uscito su "l'isola possibile", il mensile di "il manifesto", di marzo 2008, firmato da Andrea Cottone.
La ricerca trae i suoi dati dall'analisi di 2.286 imprese finite sotto inchiesta dall'autorità giudiziaria. Sono stati esaminati dunque atti giudiziari (200) e poi sono state condotte interviste ad esponenti della magistratura (inquirente e giudicante), ad esponenti dei vertici della Dia di Palermo e Trapani e agli imprenditori-simbolo della rivolta. Eccovi qualche numero. Il minimo è 32 euro al mese per un tabaccaio, mentre al massimo arriviamo ai 27 mila e 200 euro al mese del grosso supermercato. L'attività che frutta di più al pizzo è senza dubbio quella delle costruzioni (285 milioni annui) e la provincia che sborsa di più, in questo settore, è Messina, probabilmente perchè è lì che si concentrano i più importanti lavori pubblici (autostrda e ferrovia). Dopo le costruzioni, tra attività più redditizie per il pizzo, vi sono le vendite al dettaglio (219 milioni di euro ogni anno, l'agricoltura, caccia e relativi prodotti (59 milioni di euro l'anno), le vendite auto e moto (56 milioni di euro e poi, quasi a pri merito, gli alberghi e i ristoranti con 52 milioni di euro complessivi all'anno. Non vi annoio con i dati disaggregati per provincia, ma aggiungo solo che la media annua delle estorsioni per abitante è più alta nella provincia di Trapani, seguita da quella di Caltanissetta, e agli ultimi posti, dalle province di Catania ed Enna. Certo il maltolto dele imprese finite sotto inchiesta che sono state analizzate ai fini di questa ricerca, è stato (in parte) restituito. Tra beni sequestrati e confiscati, la Sicilia detiene il primato (dal 2000 al 2006, 4.062 beni sequestrati e 998 confiscati). Dopo la Sicilia, c'è la Puglia, la Campania (1.685) e la Calabria. Si tratta, per più della metà, di beni immobili,e poi di beni mobili e di titoli. I beni mobili, una volta trasformati in contante, vengono riversati nel fondo prefettizio, mentre i beni immobili vengono destinati a Comuni, Province, Regioni, Università statali, agenzie fiscali, amministrazioni dello stato e a istituzioni culturali di rilievo nazionale.In Sicilia dei 3.471 beni confiscati definitivamente solo 1.468 sono stati giàdestinati, mentre altri 2.003 sono in gestione all'Agenzia del demanio a cui sono affidati.
La ricerca, oltre ai dati sui costi diretti delle estorsioni, contiene una serie di proposte per una più efficace azione antiracket. Una di queste è quella di fare fruttare le risorse economiche sottratte ai mafiosi, velocizzando le procedure e selezionando bene gli assegnatari in base alla loro capacità di gestire i beni in modo produttivo. Poi si propone di incidere maggiormente in sede penale nei confronti di imprenditori, professionisti, funzionari pubblici, ecc.. collusi con la mafia. Ciò sia continuando con l'avvalersi della figura del concorso esterno in associazione mafiosa, che prevedendo specifiche norme incriminatrici, fermo restando, ovviamente, la tutela degli imprenditori vittime. Altre proposte che vengono avanzate riguardano il versante associativo (delle associazioni antiracket) e che ben rappresentano le positive trasformazioni in atto nella società. Una di queste consiste nella creazione di un fondo di garanzia tra associazioni imprenditoriali e banche disposte a parteciparvo, che serva a sostenere con celerità gli imprenditori che subiscono danni ingenti (si pensi agli incendi). La Confindustria, poi, propone di prevedere appositi toutor che assistano le aziende che operano in contesti rischiosi (con aiuti che vanno dal sostegno psicologico alla consulenza legale alla "certificazion" in via provvisoria del diritto di accesso ai finanziamenti con fondi di garanzia, assistendo per tutto l'iter fino alla erogazione). Infine,, anche questa ricerca, come l'Associazione Addiopizzo, propone di incentivare le varie forme di segnalazione ai consumatori delle aziende che si oppongono al racket, che la creazione di reti di cooperazione tra queste attività produttive.
P.S. La ricerca su "I costi dell'illegalità" è stata pubblicata per le edizioni "Il Mulino"

2 commenti:

Artemisia ha detto...

Grazie dell'articolo che, per quanto mi riguarda, si aggiunge ai numerosi convegni ascoltati su Arcoiris TV e trasmissioni sull'argomento (una per tutte la splendida puntata de "L'Italia in diretta" l'estate scorsa da Pianura). Mi sembra che ci siano importanti segnali di svolta in merito.
Ho sentito recentemente una puntata di Le Storie sull'argomento dove si diceva che la Mafia sta alzando i prezzi del pizzo e questo, da un lato, e' probabilmente un segnale di difficolta' dall'altro queste maggiori pretese allargano il numero degli imprenditori che si ribellano.

Fra ha detto...

Non avevo visto "Le Storie" grazie perciò, del link, tanto più che c'è anche il prof. La Spina, tra gli ospiti e si è parlato anche di quella ricerca..
Si, sul fronte della ribellione si sono fatti tanti passi avanti, (specie in provincia di Palermo, secondo me..anche a CT, certo, e l'imprenditore Vecchio ne è un esempio, ma..ecco..in modo più isolato..) e ora è importante "battere" su questo tasto..