Sono pigra, in questo periodo, o avara di parole sul blog, dipende dai punti di vista. O sono entranbe le cose. O forse sono semplicemente troppo impegnata a passare le mie giornate tra solito stress, gatte da pelare (in questi giorni un di più del "normale") e ostinazione personale a mantenere il mio "spazio".
Una notizia, però, ha destato la mia attenzione e mi ha scosso da questo blog-torpore. :-)
Si tratta della testimonianza di quella ricercatrice, "Lucia", che in una mail al Corriere della Sera, racconta la sua vicenda, di come sia entrata con un concorso ad hoc e di come sia riuscita a riscattarsi con le sue sole capacità. Ecco il link all'articolo, lo metto anche se ormai in molti lo avrete già letto.
Queste parole mi hanno colpito particolarmente: mi chiedevo in continuazione: sono un dottorando perché sono veramente dotata in questo campo o perché sono l'assistente di con la borsa finanziata da? Le sembrerà banale e invece è un punto chiave: quel che i dottorandi si sentono dire è infatti che, in virtù della mancanza di risorse, «vanno create le occasioni» per poterli mandare avanti.Mi domandavo: mi mandano avanti perché sono brava, o sono brava perché mi mandano avanti? Inutile dirle infatti che io ricerca, negli 8 mesi che resistetti, non ne feci mai. Feci solo, e tanta, assistenza. Senza mai sentire NESSUNO lamentarsene oltre misura. E, dopo aver saputo di come Lucia sia riuscita a vincere da sola altri concorsi e ad esser notata semplicemente per il suo curriculm, queste altre sue parole m'hanno dato una buona dose di ottimismo: Sono passati tanti anni e quel che vorrei dirle in sostanza è questo: il cambiamento vero partirà dalla volontà e dal senso di dignità dei singoli di non accettare il compromesso cui le università italiane chiamano la nostra coscienza. Essere un buon ricercatore significa avere gli standard per lavorare non in quell'ateneo o quel dipartimento, ma nel mondo. La conoscenza appartiene al mondo; e quindi, a cosa serve avere il posticino messo in palio da papà, senza poi il rispetto della comunità scientifica internazionale, che è l'unico vero giudice dell'operato di un ricercatore? Mi rendo conto che è molto banale quanto le scrivo. Ma è tutto quel di cui mi sento di far da tramite e testimone, nel mio immensamente piccolo.
Una notizia, però, ha destato la mia attenzione e mi ha scosso da questo blog-torpore. :-)
Si tratta della testimonianza di quella ricercatrice, "Lucia", che in una mail al Corriere della Sera, racconta la sua vicenda, di come sia entrata con un concorso ad hoc e di come sia riuscita a riscattarsi con le sue sole capacità. Ecco il link all'articolo, lo metto anche se ormai in molti lo avrete già letto.
Queste parole mi hanno colpito particolarmente: mi chiedevo in continuazione: sono un dottorando perché sono veramente dotata in questo campo o perché sono l'assistente di con la borsa finanziata da? Le sembrerà banale e invece è un punto chiave: quel che i dottorandi si sentono dire è infatti che, in virtù della mancanza di risorse, «vanno create le occasioni» per poterli mandare avanti.Mi domandavo: mi mandano avanti perché sono brava, o sono brava perché mi mandano avanti? Inutile dirle infatti che io ricerca, negli 8 mesi che resistetti, non ne feci mai. Feci solo, e tanta, assistenza. Senza mai sentire NESSUNO lamentarsene oltre misura. E, dopo aver saputo di come Lucia sia riuscita a vincere da sola altri concorsi e ad esser notata semplicemente per il suo curriculm, queste altre sue parole m'hanno dato una buona dose di ottimismo: Sono passati tanti anni e quel che vorrei dirle in sostanza è questo: il cambiamento vero partirà dalla volontà e dal senso di dignità dei singoli di non accettare il compromesso cui le università italiane chiamano la nostra coscienza. Essere un buon ricercatore significa avere gli standard per lavorare non in quell'ateneo o quel dipartimento, ma nel mondo. La conoscenza appartiene al mondo; e quindi, a cosa serve avere il posticino messo in palio da papà, senza poi il rispetto della comunità scientifica internazionale, che è l'unico vero giudice dell'operato di un ricercatore? Mi rendo conto che è molto banale quanto le scrivo. Ma è tutto quel di cui mi sento di far da tramite e testimone, nel mio immensamente piccolo.
7 commenti:
E da un "piccolo" chicco di grano che nasce una spiga piene e ricca...il tuo immensamente piccolo pone una riflessione molto grande ed interessante. Quanti fanno il proprio lavoro in modo scientifico serio e con l’amore necessario per arrivare ai risultati e quindi al rispetto del mondo scientifico? Mio figlio, archeologo, attualmente sta portando avanti una ricerca storico antropologica su una antica famiglia di Ravenna ormai estinta insieme a dei colleghi, lui non ha ancora un lavoro, non ha un cognome importante politicamente e quindi è nella stessa situazione di tanti nostri ragazzi preparati ma non raccomandati. La sua ricerca sarà pubblicata da una delle maggiori riviste italiane di archeologia ed io ne sono fiero. Spero solo che prima o poi la sua serietà sia premiata. Sono sogni? Non lo so ma io lo spero.
Lucia ha fatto tutto da sé,però, come sai, ci sono tanti altri che entrano dalla finestra.
Ad ogni modo la storia che hai proposto ci induce a essere ottimisti.
Buona giornata
Fino
@ il cantastorie errante - Leggevo stamattina, non ricordo se sempre sul corriere.it, o altrove, che nei paesi dove vige il sistema delle raccomndazioni i giovani sono poco motivati all'innovazione e al cambiamento, oltrchè all'impegno, e la società, in generale, resta bloccata, con scarsissime possibiltà di mobilità sociale verso l'alto e una classe dirigente e politica tra le più vecchie nel mondo occidentale. Bella prospettiva, vero? :-(!!?? E con un saldo negativo tra chi entra e chi esce nelle nostre università, tra studenti italiani e stranieri..
Mi auguro che tuo figlio venga riconociuto per le sue capacità. E penso che l'ottimismo non sia solo un'utopia..Penso che se uno vale, e non si scoraggia (e questa seconda cosa è fondamentale), prima o poi emerge. Un caro saluto a te e un "in bocca al lupo" per tutto a tuo figlio
@ Fino - La storia di "Lucia" è davvero esemplare. Anche lei, pur avendo indubbiamente alte capacità, era entrata dalla finestra...Ma, con la tenacia e il rigore verso sè stessa e verso la scienza, è riuscita a ritentare da sola e ha avuto la grande soddisfazione di esserci riuscita.
E si, induce ad esere ottimisti, il suo racconto! E di questi tempi di "iniezioni" di ottimismo ce n'è tanto bisogno!
Un caro saluto anche a te,
Frida
Quello di Lucia è un racconto di vita che induce alla speranza.In un paese democratico nn dovrebbero esistere nè raccomandazioni nè "eredità familiari",spesso cmq si trovano ragazzi capaci con coraggio "perchè è necessario",costanza e dedizione,ne conosco qualcuno,so quanto sia difficile,ma bisogna perseverare là dove ci sono risultati a breve o lunga scadenza,abbiamo dei "cervelli" giovani e meravigliosi ed anch'io come te,cara Frida voglio essere ottimista.
Ti abbraccio
@ Rosy - E' stato proprio l'aspetto della speranza che mi ha colpito. Sai che spesso sono portata a sentirmi amareggiata per le troppe cose che non condivido e verso le quali mi sento impotente..Ecco, invece pensare che un singolo, con la sua capacità e tenacia, può riuscire, anche contro il sistema (delle raccomandazioni, in questo caso), m'ha scosso positivamente.
Un abbraccio a te, e a presto
Frida
Ciao Frida. Non sei pigra, sei solo incasinata. Ti capisco perfettamente.
I ricercatori precari ce li ho ben presente perchè ce li ho davanti tutti i giorni. Ne ho parlato anche recentemente
sul blog. E' veramente difficile per questi ragazzi e ragazze far valere il proprio talento.
@ Artemisia - Hai visto la Littizzetto stasera? Ha suggerito la sua ricetta in merito: istituire un fondo per pagare i raccomandati affinchè si tolgano dalle palle e vadano all'estero..Chè tanto, pure se sborsiamo, perdiamo meno così, che facendoli restare in Italia a far danno..
Al di là della sua ironia, se si potesse davvero..una cosa così uno la farebbe sul serio, no?
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