venerdì 25 luglio 2008

Piccoli piaceri estivi

Andare sul personale, ogni tanto, va bene, no? Allora..VADO!! :-)

PICCOLI PIACERI ESTIVI

- Essere finalmente in ferie :-)))))))))))))

- Aver già lavato i vestiti e il loro odore, di treno e di lavoro.

- Uscire dalla doccia e avvolgermi nel mio accappatoio nuovo (rosa a pois bianchi: quanto mi piace! :-)

- Profumarmi con qualche goccia di essenza di caprifoglio.

- Essere sola e scandire il tempo a modo mio.

- Fare pranzo con granita di caffè e mandola + brioche calda | :-) slurp!!! |

- Andare a mare alle 14 quando gli altri mangiano.

- Godermi placidamente il pomeriggio in spiaggia.

- Assaporare lo sciabordio delle onde a riva con un buon libro da leggere (come "Mille splendidi soli" di K. Hosseini)

- Fare merenda con peperoni rossi e carne grigliata
.

- Essere qui, in santa pace, davanti al pc senza dovermelo "contendere" con nessuno

Tutto qua!

E voi? Avete, come me, dei piccoli piaceri da "gustare" il primo giorno di ferie?

martedì 22 luglio 2008

Fannullona, io, tra tanti fannulloni di stato

(da "I fannulloni geniali" di Francesco Merlo) su "la Repubblica.it -Economia del 20 luglio 2008

CI FOSSE stato l'agitatissimo Renato Brunetta a capo dell'Agenzia praghese delle Assicurazioni Generali, l'impiegato Kafka che, come uno scarafaggio, si imboscava negli angoli bui e stava lì a tossire e a scribacchiare improbabili lettere al padre, sarebbe stato licenziato in tronco come fannullone. Avremmo perso una manciata di capolavori ma - vuoi mettere? - Brunetta avrebbe dato una lezione esemplare a quello spilungone dissipato di Franz che era capace di fissare a bocca aperta la vecchia Remington in preda a chissà quali incubi d'ufficio che ben sapeva utilizzare - il furbacchione - a fini letterari. Anche a quello scansafatiche di Italo Svevo Brunetta avrebbe prima decurtato lo stipendio di almeno il trenta per cento e poi lo avrebbe cacciato giudicando intollerabile quel suo doppio lavoro di scrittore clandestino senza coscienza aziendale. Ora, sappiamo bene che tra gli impiegati pubblici d'Italia non ci sono né Kafka né Svevo e forse neppure Dino Risi il quale diceva con Conrad: "Non riesco a far capire a mia moglie che, affacciato alla finestra, sto ancora lavorando". Ma sappiamo che c'è qualcosa di calvinismo strapaesano e di "tu vò fa l'americano" (o forse il giapponese), e c'è soprattutto qualcosa di ingiusto in questa ossessione del ministro non tanto contro l'otium dell'operoso Seneca quanto contro il dipendente pubblico italiano che sempre più somiglia a un imputato che ogni giorno deve provare la propria innocenza. (continua sotto)


Non è una novità che ho poca voglia di scrivere, come vedete. Ma di leggere non ho perso il vizio. Così ho riportato oggi quest'altra cosa che mi ha attratta, e di cui vi ho messo subito l'inizio. Ormai tanti l’hanno già inserita nei loro siti, ho visto. Ciò nondimeno, l’ho incollata anch’io qui, perché me la voglio tenere per me, ne vale proprio la pena. E poi anche per dare a voi la possibilità di non perdervela. Non è un semplice articolo, questo del bravo Francesco Merlo: è una riflessione equilibrata ed ironica in forma letteraria!
Prima di lasciarvi alla lettura, del seguito, premetto di mio, alcune piccole considerazioni.
L’argomento è quello della lotta ai fannulloni nel pubblico impiego. Giusta la lotta. Sbagliato vendere aria fritta (o "gettare fumo negli occhi", o "raccontare le favolette", fate voi). I provvedimenti di Brunetta sono in gran parte solo questo. Come ad esempio l’obbligo della richiesta di visita fiscale fin dal 1° giorno di malattia, che esiste già da molti anni, dal 1994. Semmai sono i soldi per farle (le visite) che mancavano, e mancano. Oppure sono solo piccoli squallidi espedienti per fare cassa, togliendoli a chi è malato, falso o vero che sia, peggio per quello vero, che si arrangi!
Da dipendente pubblica, quale io sono, ci tengo però a dire che mi sento, in questo preciso momento di storia italiana, uno strumento di coesione sociale (tutti uniti contro il nemico comune-dipendente-pubblico-fannullone) nonché una vera “fabbrica di consenso” per chi, prima e meglio di altri, individua “il nemico”. Infine, non posso più dire nemmeno di sentirmi sola. Mi fanno compagnia i rom, e pure i giudici: “nemici”, anche loro, come me, del popolo italiano, e strumenti, come me di coesione e consenso. !!!Ed ora buona lettura. Eccovi il seguito


(da "I fannuloni geniali" di F. Merlo - continua) È al contrario vero che nel nostro Paese l'impiego pubblico è stato colpevolmente allargato a dismisura dal fascismo e dall'antifascismo perché è sempre stato il modello di tutti i governi italiani, di destra e di sinistra, che così trasformavano i disoccupati in clienti politici. Insomma, mille professori politici, come è Brunetta, e mille intellettuali ministri come è Brunetta - anch'essi, come vedremo, oziosi nel senso latino - hanno devastato il pubblico impiego, specie nel Meridione, usandolo a fini anticongiunturali.
Così, per esempio, già nel 1920 Salvatore Quasimodo fu assunto a Roma al ministero dei Lavori Pubblici e distaccato al Genio Civile di Reggio Calabria per fare nulla. Il politico che lo raccomandò pensava di legare a sé e alla propria scuderia di partito un povero meridionale senza arte né parte e non certo di formare un premio Nobel per la poesia. E però se peccato vi fu contro la morale pubblica - e non è questione di retorica - non lo commise certo Quasimodo che solo nel gergo brunettiano fu un fior di fannullone, più o meno come quei ventuno impiegati di Reggio Calabria che hanno la sola funzione di registrare la loro inutile presenza in ufficio. Ma, come scrisse Albert Camus, "togliete ad un impegato i suoi documenti da ricopiare e da catalogare e ne farete un accidioso e, all'occasione, un criminale". E difatti psicanalisti, economisti e poeti sanno bene che non esistono persone che hanno per aspirazione il non far nulla. Al contrario, a faticare di più sono appunto quelli che sono stati assunti proprio per non lavorare, che è l'attività di lavoro più dura che possa capitare all'impiegato di concetto, all'intelletuale. E basti pensare ai professori universitari - anche Brunetta lo è - che infatti non si contentano del doppio lavoro ma arrivano al triplo e al quadruplo, con le consulenze, gli articoli, la politica. Insomma, non si capisce perché il doppio lavoro porti lustro e credito sociale al professore universitario e al barone accademico che tanto più è stimato quanto meno si fa vedere all'università, e porti invece decurtamenti dello stipendio, licenziamento, disprezzo, ammiccamenti e smorfie moralistiche all'impiegato di concetto che di sera si trasforma in piccolo muratore. Eppure Brunetta crede di essere il nuovo Falcone italiano perché, nel Paese degli abusivi e degli evasori, dei conflitti di interesse e delle mafie, dichiara guerra al bidello che smonta alle due del pomeriggio e poi, a partire dalle quattro, va a fare le pulizie in un condominio. E vuole licenziare non il barone universitario che porta in cattedra moglie, figli e parenti vari, ma l'operaio comunale che, terminato il normale turno, sale sulla sua Ape carica di attrezzi e gira per le case di campagna, e ora aggiusta un rubinetto, ora monta un lampadario, ora sostituisce un interruttore. Il ministro vuol mettere alla gogna l'usciere del tribunale che usa il proprio tempo 'libero' per lavorare e poi ancora lavorare nello studio di un avvocato o in quello di un notaio o, comunque, dove può. Tanto più che Brunetta finge di stupirsi perché i dipendenti pubblici che vogliono fare il doppio lavoro non accettano il part-time che corrisponde, più o meno, al dimezzamento dello stipendio e dunque della pensione. Ma quale impiegato sano di mente sarebbe disposto a rinunciare a quella metà dello stipendio che forse poi potrebbe, nel migliore dei casi, riguadagnare grazie a un doppio lavoro autonomo che è sempre precario, incerto e talvolta persino virtuale? Ed è bene ricordare che stiamo qui parlando di piccole cifre, di modesti arrotondamenti, di poveri bilanci familiari. E non certo delle ricchezze che, grazie al doppio lavoro, riescono ad accumulare, per esempio, certi medici o certi docenti di diritto amministrativo o ancora molti deputati e senatori, che come ha documentato ieri Tito Boeri, "rendono il mandato ricevuto dagli elettori una fonte di reddito permanente" tessendo una scandalosa ragnatela di conflitti di interesse. Già Antonio Di Pietro quando fu ministro dei Lavori Pubblici nel primo governo Prodi cercò di trattare il pubblico impiego come aveva trattato il Psi di Craxi (e di Brunetta). Di Pietro propose infatti che "laddove - è puro dipietrese - il dipendente pubblico non riesca a giustificare il proprio tenore di vita è meglio disfarsi di costui piuttosto che aspettare che intervenga il giudice penale: sarebbe troppo tardi e poco selettivo". Ebbene, alla fretta etica di Di Pietro è ora subentrato l'iperattivismo di Brunetta che sta cercando di far saltare l'Italia dentro un nuovo cerchio di fuoco. Sogna infatti "negli uffici pubblici la stessa efficienza della Ferrari, della Brembo o di Versace", vorrebbe attizzare uno scontro di civiltà tra fannulloni e iperattivi, tra depressi e nevrotici, tra brevilinei e longilinei, intesi come luoghi mentali e non fisici, per usare la colta metafora che nel 1935 Amintore Fanfani, allora professore di Storia economica alla Cattolica, presentò al dodicesimo congresso internazionale di Sociologia di Bruxelles e che fu così giudicata dal Duce: "E' magnifico ma è troppo lungo". Fanfani leggeva la storia, a partire da quella del pubblico impiego, come lotta tra brevilinei e longilinei, con la tesi che gli iperattivi accumulano e i fannulloni dissipano: da un lato le formiche dello Stato e dall'altro gli eroi dello sperpero e i poeti della decadenza. Quando lavoravo al desk c'era un collega che non stava mai al suo posto dove invece, secondo contratto, avrebbe dovuto passare sette ore e un quarto. E ce n'era un altro che restava al suo tavolo, sempre occupato in qualcosa. Ebbene, tra i due non c'era confronto possibile: era l'assenteista (il fannullone) che, per esempio, quando bisognava fare i titoli, si materializzava e mostrava quel talento che lo ha poi portato a diventare direttore. Ecco: un uomo intelligente come sicuramente è Brunetta dovrebbe capire che in Italia sarebbe più equilibrato sia evitare di santificare il lavoro come faceva Pascoli: "Poco era il giorno e molto era il lavoro / la falce è grande, ma più grande il prato", e sia evitare di dannarlo come faceva Cesare Pavese: "Lavorare offende anche l'aria".

(20 luglio 2008)

venerdì 18 luglio 2008

Siamo così

In questi giorni di bassa, e di magra (ispirazione) il massimo che riesco a fare è andar a gironzolare per i blog e leggere i titoli dei post e il loro primo rigo. Spingendomi oltre solo se l'argomento che ho annusato promette bene. Come nel caso di questo "Autoritratto" di L. Palmisano, letto su "Nazione Indiana 2.0" di oggi.
Mi è piaciuto tanto, sia per il contenuto, che per il modo ironico con cui è scritto. E poi perchè alcune considerazioni che ci ho trovato, sul tirare la carretta, o la cinghia, se preferite, le faccio anch'io come tanti, ma io soprattutto dopo aver visto l'altra sera l'offerta del pane scontato dopo le 20,00 in un panificio vicino casa...!!! Quanto al resto degli argomenti trattati da Palmisano, su politica, ideali, giustizia, razzismo, ecc...conoscete già i miei "gusti"..Dunque, sommando tutto, non vi meraviglieranno gli "assaggi" che riporto qui di questo bel post, che potete leggere per intero
qui.


Io non ho un lavoro. Non ho i soldi per fare la spesa. Non ho i soldi per fare benzina, e quando ce li ho aspetto la sera per andare al distributore, perché dopo le otto la benzina costa meno.
Io non ho una casa mia, e non potrò mai averla. Non ho i soldi per comprarmi dei vestiti nuovi, nemmeno adesso che ci sono i saldi.(..)
Io non ho speranze di vivere in un paese migliore, e non sono d’accordo con nessuno. I miei amici stanno tutti meglio di me e sono felice per loro, ma a volte li invidio, e forse è anche per smettere di invidiarli che spero di avere anch’io, prima o poi, una vita decente.
Io non sto con chi manifesta contro il governo, né con chi vuole dialogarci, dice, “per il bene del paese”. Non voterò più, e non credo più nella democrazia, perché è uguale a tutte le altre forme di governo.
Io non sto con chi protesta contro le discariche e gli inceneritori perché non credo che chi lo fa sia animato da un senso di giustizia. Non credo più nella giustizia, né nella legge, e nessuno potrà mai convincermi che farsi picchiare per impedire la costruzione di una discarica e poi tornare a casa buttando per terra il pacchetto delle sigarette sia un modo per difendere il futuro dei propri figli.
Io voglio avere una vita indifferente.
(..)
Protesterò quando tenteranno di costruire una discarica sotto casa mia; mi arrabbierò quando il governo mi aumenterà le tasse, o quando l’assicurazione della mia macchina costerà troppo. Se mia sorella sarà violentata da un algerino, odierò tutti gli africani, ma nessuno potrà dire di me che sono un razzista. Se mia madre sarà derubata da un siciliano, odierò i terroni, e se il mio migliore amico la ucciderà per rubarle la collana e andare a farsi una pera, allora odierò tutti i tossici bastardi pezzi di merda. Se mio fratello resterà in coma per vent’anni, scriverò al presidente della repubblica per chiedere che sia lasciato morire, e se il prete del mio paese non sarà d’accordo smetterò di andare in chiesa - ma in caso contrario non mi dispiacerà partecipare alle giornate della gioventù e ricevere gli sms di papa B. XVI: «Dio e il suo popolo si aspettano molto da te». Forse, di tanto in tanto, mi capiterà anche di invocare la pena di morte.
Non crederò in niente.
Non avrò idee, quindi non dovrò mai litigare con nessuno. Quando prenderanno le mie impronte digitali per la carta d’identità, non penserò a Orwell, alle bestie marchiate, ad Auschwitz, ma al carabiniere che ieri sera, in televisione, spiegava il provvedimento del governo e godeva come se la giornalista lo stesse masturbando. Mi ricorderò che ogni mia impronta gli farà una sega, e sarò contento per lui.
Quando mi capiterà tra le mani un giornale e vedrò in prima pagina la foto di un calciatore e in ventitreesima quella di un uomo torturato in una prigione cinese, cubana, o statunitense, mi sembrerà una cosa normale. E quando in un film, in un libro, in una canzone, o in una storia che mi racconteranno, sentirò parlare di un uomo diverso da me, che credeva in qualcosa e che ha combattuto per quello in cui credeva, penserò che lo ha fatto per interesse personale, o per protagonismo, o per tutte e due le cose insieme, e saprò di avere ragione.
E se tutto questo non accadrà mai, se non saprò mai conquistarmi una camera con vista sul mondo, allora morirò di fame da qualche parte, o sarò arrestato per aver rubato un’aragosta o per aver attentato alla vita di un uomo importante, oppure mi darò fuoco in un garage o mi impiccherò in piazza san Pietro, sotto il colonnato del Bernini - qualunque cosa, pur di non dar fastidio al cittadino medio, all’uomo che avrei voluto essere, quello che prende duemila euro al mese, paga il mutuo, si lamenta del governo, e la domenica pomeriggio, insieme agli amici, prepara il barbecue nel suo piccolo giardino. Il bastardo.

Si, lo so, ho copiato quasi tutto. E come rinunciare a qualcosa? Condivido tutto.

sabato 12 luglio 2008

Dedicato all'Etna

Cola del rosso dal fianco squarciato.

Risalgo il sentiero incontro alla notte.

Il rosso si fa vicino, e caldo.

Sembra sangue, ma è vita.

Il vento caldo scompiglia i rami,

e l'erba, e i miei capelli.

Trema e si scuote la terra,

tra suoni profondi eruttati dalle sue viscere.

Brama quel rosso, la terra,

e le vampate, e i bagliori.

Si nutre così, la mia terra nera

avida di vita, e di rosso.

venerdì 4 luglio 2008

Un caldo "riscritto"

Fa caldo, vero? Allora, per ircordarvelo ancora di più (sono un pò sadica, vero? :-) Embè?..Non posso esser sempre masochista..:-), vi metto una cosa che avevo scritto l'anno scorso e che trovate, in versione originale, nel vecchio (abbandonato) blog parallelo..E' solo uno scherzo..uno scherzo del caldo..:-)

E’ bianco, il caldo

Intollerabile, accecante, soffocante bianco.

Ha occupato ogni angolo, il caldo.

Ha risucchiato anche l’anima!

Ha scuoiato oggetti e persone

E strappato via a brandelli tutti i colori….

Ma io aspetto, paziente, la sua disfatta

E il trionfo dei colori

La luce azzurra

I profumi rosa

I gialli appetitosi

E il blu della notte…

fresca, dolcissima notte.